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PERFEZIONISMO ACCADEMICO: QUANDO VOLER DARE IL MASSIMO DIVENTA UN LIMITE

  • dott.ssa Alessia Biggio
  • 28 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Nella cultura contemporanea, l’eccellenza è spesso esaltata come sinonimo di successo, impegno e valore personale. Tuttavia, esiste una linea sottile tra il sano desiderio di migliorarsi e l’iperperfezionismo – una spinta incessante a raggiungere standard irrealistici, che può generare ansia, insoddisfazione cronica e blocchi emotivi in vari ambiti della propria vita.



COME SI MANIFESTA IN AMBITO UNIVERSITARIO

Durante gli anni universitari è normale voler fare bene: studiare con impegno, raggiungere buoni voti, costruirsi un futuro. Ma quando questo desiderio di riuscire si trasforma in una tensione costante di dover “sempre dare il massimo”, di non sbagliare mai, di non sentirsi mai abbastanza all'altezza allora può essere utile fermarsi a riflettere. Quello che molti studenti vivono senza saperlo ha un nome: iperperfezionismo.


L’iperperfezionismo non è semplicemente voler fare bene. È sentirsi inadeguati anche quando si ottengono buoni risultati, è rimandare un esame per paura di non essere “abbastanza preparati”, è passare ore a correggere dettagli minimi, senza mai sentirsi davvero soddisfatti e preparati. Spesso è accompagnato da pensieri del tipo:

  • “Se non prendo il massimo dei voti, sarà un fallimento”

  • “Se boccio, non valgo proprio nulla”

  • “Devo dimostrare di essere all’altezza”

  • "Devo essere il migliore per riuscire nella vita"

Questo tipo di pensieri, anche se sembrano spingere verso l’eccellenza, finiscono per logorare la motivazione, minare l’autostima e aumentare l’ansia da prestazione.



COME RICONOSCERLO

L’iperperfezionismo si manifesta spesso con:

  • Procrastinazione: si rimandano gli esami, si evitano compiti per paura di non farli perfettamente

  • Ansia da prestazione: prima di un esame o di una presentazione, il corpo e la mente vanno in tilt

  • Autocritica costante: anche dopo un buon risultato, si trovano sempre “errori” o “mancanze”

  • Difficoltà a rilassarsi: ogni momento libero è vissuto come tempo “perso” o non produttivo


Non solo rende la vita più stressante, ma può aumentare il rischio di:

  • Disturbi d’ansia

  • Depressione e senso di fallimento

  • Burnout accademico

  • Problemi nel sonno, nell’alimentazione, nella concentrazione



COME SI SVILUPPA

Questo fenomeno non nasce dal nulla, ma si sviluppa progressivamente attraverso l’interazione di molteplici fattori, che spaziano dalla dimensione personale a quella familiare, scolastica e culturale.


A livello individuale, molte persone che sviluppano iperperfezionismo accademico tendono a legare in modo stretto la propria autostima ai risultati ottenuti. Sentono di valere solo se riescono a eccellere, e vivono l’errore o l’imperfezione come veri e propri fallimenti personali. Questo tipo di pensiero, spesso dicotomico – tutto o niente – alimenta un circolo vizioso in cui l’ansia da prestazione prende il sopravvento, rendendo ogni compito un banco di prova per la propria identità. Spesso, inoltre, il bisogno di approvazione da parte degli altri – siano essi genitori, insegnanti o coetanei – si trasforma in una pressione costante ad apparire sempre competenti, brillanti e in controllo.


Un ruolo importante lo gioca anche l’ambiente familiare. In molti casi, le persone che mostrano un alto grado di perfezionismo accademico sono cresciute in contesti in cui l’approvazione veniva percepita come condizionata al successo. Quando si cresce con genitori molto esigenti, critici o con aspettative elevate, si può interiorizzare l’idea erronea che solo eccellendo si possa essere degni di affetto o rispetto.


Il contesto scolastico e universitario rappresenta un ulteriore terreno fertile per il radicarsi dell’iperperfezionismo. Spesso gli studenti si trovano immersi in ambienti fortemente competitivi, dove i voti, le classifiche e le borse di studio alimentano la sensazione che non ci sia spazio per l’errore. In queste condizioni, la cultura della performance si impone come valore dominante, portando molti giovani a credere che valga solo chi eccelle. Anche il confronto sociale ha un impatto: vedere gli altri – soprattutto attraverso i social – mostrare solo successi e traguardi raggiunti può far nascere la convinzione che sia necessario essere perfetti per essere accettati o stimati.


Infine, va considerato anche l’influsso della cultura più ampia, che spesso promuove un ideale di successo fondato su produttività, efficienza e riconoscimento pubblico. In un contesto dove si è continuamente esposti a modelli di eccellenza, la pressione a dover essere sempre “al massimo” diventa interna e costante. Anche la tecnologia ha un ruolo: la possibilità di correggere, rivedere e perfezionare continuamente il proprio lavoro – grazie a strumenti digitali – può facilmente alimentare l’ossessione per la perfezione.



COSA SI PUO' FARE: COME SUPERARLO

Se ti riconosci in questi vissuti, sappi che non sei solo e che è possibile affrontarli. La psicoterapia è uno spazio sicuro dove esplorare:

  • Da dove nasce questa pressione

  • Come funziona il tuo dialogo interno

  • Quali sono i valori autentici che ti guidano, al di là del giudizio

  • Come accettare l’errore come parte del processo, senza che questo metta in dubbio il tuo valore


In altre parole, la psicoterapia si concentra sull’aiutare la persona a riconoscere, comprendere e trasformare i meccanismi rigidi e spesso autodistruttivi legati alla ricerca incessante della perfezione. Il trattamento psicoterapeutico non si limita a ridurre i sintomi (come ansia, stress o procrastinazione), ma mira a modificare le convinzioni profonde che sostengono il comportamento perfezionistico.



 
 
 

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